Prevenire la perdita di memoria, nuove scoperte

Dall’Università di Milano Bicocca, un nuovo studio apre la strada ad un trattamento preventivo della perdita di memoria, uno dei sintomi più noti e amari delle malattie neurodegenerative quali l’Alzheimer.

Come è ormai noto, a causare i sintomi dell’Alzheimer è principalmente la produzione eccessiva e quindi l’accumulo nel cervello di beta-amiloide, che svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza della patologia. Aggregandosi, infatti, questi frammenti creano solide placche che inducono ad una progressiva neurodegenerazione delle cellule nervose, causando il declino delle facoltà cognitive.
E’ quindi chiaro che, allo scopo di lenire i sintomi del morbo di Alzheimer è necessario agire proprio su questo processo: ecco perché il professor Massimo Masserini, la dottoressa Francesca Re e la dottoressa Simona Mancini, del dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università Milano-Bicocca, hanno sintetizzato speciali nanoparticelle ingegnerizzate, capaci di passare al cervello attraverso il sangue. Senza entrare troppo nel tecnico, queste nanoparticelle sono in grado di rallentare l’accumulo della beta amiloide nel cervello grazie ad un effetto di “scarico” periferico nel fegato e nella milza detto “skin effect”. In questo modo, l’aumento dimensionale delle placche è prevenuto e così la comparsa dei sintomi della malattia.

L’esperimento eseguito sui modelli animali ha avuto risultati illuminanti: sette mesi di trattamento hanno impedito la perdita di memoria a lungo termine, hanno rallentato la deposizione di placche di beta-amiloide nel cervello e hanno prevenuto la comparsa di anomalie anatomiche cerebrali tipiche della malattia, monitorate con risonanza magnetica, al contrario di quanto accaduto ad animali non trattati. Inoltre, gli effetti positivi si sono protratti per i tre mesi successivi alla sospensione del trattamento.

Al momento, non è ancora possibile parlare di cura definitiva ma, considerando che la riduzione di beta-amiloide in casi di Alzheimer conclamato non abbiano dato i frutti sperati, la ricerca si volge ora ad un trattamento pre-sintomatico della malattia. Un obiettivo che dona speranza e ottimismo, per un futuro forse libero dal morbo più infido e debilitante della terza età.

La ricerca è stata pubblicata su “Journal of Controlled Release”, una delle riviste più importanti dedicate alla farmacologia a livello internazionale.