Diagnosi precoce dallo studio dei biomarcatori
Uno studio condotto dai ricercatori della Washington University a St.Louis ha rilevato l’importanza delle variazione di alcuni biomarcatori nel corso della mezza età,
quando ancora la demenza è lontana dal manifestarsi. Osservando i cambiamenti dei marcatori dell’Alzheimer, infatti, è probabilmente possibile riuscire ad identificare
chi corre maggior rischio di sviluppare il morbo.
La ricerca, pubblicata su “JAMA Neurology” ha coinvolto 169 soggetti tra i 45 e i 65 anni che sono stati sotto osservazione per dieci anni. Ogni tre anni, avveniva la
misurazione de livelli nel liquido cerebrospinale di alcuni marker clinici, tipici della malattia di Alzheimer, quali la proteina beta amiloide e la proteina tau,
responsabili del morbo. Altro passo della ricerca consisteva nell’evidenziare, attraverso la PET (Scansione di Tomografia a Emissione di positroni), l’eventuale
presenza di placche amiloidi e varianti genetiche che predispongono all’insorgenza della malattia nella terza età.
I risultati hanno portato all’acquisizione di dati molto significativi: pare infatti che i bassi livelli della proteina beta amiloide nel fluido cerebrospinale
aumentino le probabilità di future comparse di placche amiloidi.
Si è così osservato lo stretto legame dei marcatori con la componente genetica del rischio di contrarre l’Alzheimer, ma il grande problema del morbo resta. Si tratta
di una malattia il cui processo è a lungo termine, dunque è fondamentale tenere sotto controllo le persone per parecchio tempo, se si vuole coglierne i sintomi in
anticipo. Ad ogni modo, anche se per ora non si può parlare di fattori predittivi, si spera che i biomarcatori possano essere usati, un giorno, per prevedere
l’insorgere dell’Alzheimer e combatterlo in tempo.