Alzheimer, nuove tecnologie per combattere il declino cognitivo

Le placche amiloidi, una delle strutture responsabili del declino cognitivo nei casi di Alzheimer, potrebbero essere letteralmente cancellate dal cervello, impedendo così la loro azione
neurotossica e quindi l’insorgere del morbo.
Come? Grazie ad una nuova tecnologia ad ultrasuoni non invasiva recentemente sviluppata da un gruppo di ricercatori australiani che, a giudicare dai risultati, sta per dar luogo ad
una vera e propria svolta nel campo della lotta all’Alzheimer.

La malattia di Alzheimer può essere causata da due tipi di lesioni, ovvero placche amiloidi e grovigli neurofibrillari: nel primo caso, abbiamo un ammasso di molecole beta-amiloide
che si aggregano sotto forma di placche all’interno dei neuroni, generando il danno cerebrale; nel secondo caso, la lesione è causata da proteine tau difettose che finiscono per
intrecciarsi, ostacolando il trasporto di materiali essenziali come i nutrienti.

Sulla base del tasso di successo della tecnologia sui topi da laboratorio del 75%, il Queensland Brain Institute, Università del Queensland, ha sviluppato un vero e proprio
trattamento che prevede appunto la rimozione dell’accumulo di proteine tau e beta-amiloide difettose nel cervello del paziente. La tecnica è stata descritta su Science Translational
Medicine e comporta l’utilizzo di ultrasuoni terapeutici mirati, un particolare tipo di ultrasuoni non invasivo per il tessuto cerebrale: è proprio grazie all’oscillazione rapidissima di queste onde sonore che la barriera emato-encefalica, che protegge il cervello dai batteri, si apre delicatamente e stimola l’attivazione delle cellule microgliali del cervello, ovvero i rifiuti rimossi dalle cellule, in modo che siano in grado di cancellare i gruppi tossici di beta amiloide.

L’entusiasmo per questo nuovo trattamento è senza dubbio legittimato, dato che non si avvale dell’utilizzo di sostanze farmacologiche ma, anzi, aiuta il corpo a guarire sè stesso, con risultati strabilianti.
Si auspica un inizio della sperimentazione umana nel 2017, nella speranza che tale tecnologia possa davvero rivoluzionare il nostro modo di concepire una malattia che al momento ci appare invincibile e che attualmente riguarda 44 milioni di persone in tutto il mondo.