L’Elisir di Lunga vita

L’Elisir di Lunga vita,l’eterna giovinezza, , sembra ormai a portata di mano, secondo un articolo pubblicato da Science e scritto dal professor David Sinclair, genetista dell’università di Harvard, uno dei pionieri della medicina della prevenzione. Da una decina di anni sperimenta con il resveratrolo, un fenolo contenuto nella buccia dell’acino d’uva e in pochi altri alimenti come il cacao. Le sue capacità antitumorali e antinfiammatorie sono note, ma potrebbe essere questo l’elisir che tutti vanno cercando, secondo Sinclair, consulente della GlaxoSmithKline che sta già sintetizzando un tipo di pillola definita miracolosa. Il resveratrolo ha anche un effetto anti età perché è in grado di aumentare l’attività della proteina Sirt1, soprannominata proteina della longevità. Sfruttando questa capacità le nuove pillole hanno già dato promettenti risultati sugli animali, allungando la vita a topi, api e mosche. Adesso la Gsk le sta testando su pazienti con malattie come il diabete di tipo 2 e la psoriasi. Ma altri test hanno già dimostrato una buona reazione nei malati affetti da Alzheimer, Parkinson, osteoporosi, condizioni cardiovascolari e altri disturbi legati all’età avanzata.

ALZHEIMER E GENETICA

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa destinata a coinvolgere un numero sempre maggiore di anziani, dato il progressivo invecchiamento della popolazione, nel nostro paese così come nel resto del mondo.

La gran parte dei casi si manifesta in maniera sporadica, senza alcun collegamento genetico, ma esistono anche forme di Alzheimer che colpiscono più persone di uno stesso nucleo familiare.

Questo tipo di morbo è dovuto ad una mutazione genetica presente fin dalla nascita e si trasmette con una modalità di tipo “autosomico dominante” per cui il 50% dei discendenti del portatore ha la possibilità di ereditarlo.

Le cause del morbo di Alzheimer sono, del resto, ancora da determinare e influenzate da fattori sia ambientali che biologici.

La malattia è caratterizzata principalmente dalla presenza nel cervello di piccole placche di beta amiloide e di proteina tau iperfosforilata, proteine che si accumulano e vanno a danneggiare i neuroni molto tempo prima che il morbo si manifesti nelle sue principali caratteristiche.

I geni coinvolti nella malattia di Alzheimer sono chiamati presenilina-1, presenilina-2 e proteina precursore di beta-amiloide (APP). Si può verificare la presenza di mutazioni genetiche grazie ad un prelievo di sangue e a specifici esami di laboratorio compresi in una consulenza genetica, ovvero un processo informativo che può essere intrapreso da pazienti affetti da una malattia a trasmissione genetica e dai familiari.

Tali incontri prevedono colloqui informativi o test specifici da eseguire, il tutto curato da équipe di medici, genetisti e psicologi professionisti.

LA DEMENZA SENILE

La Demenza senile è una sindrome che si presenta, come suggerisce il nome, in età avanzata e consiste nella diminuzione delle prestazioni cognitive al punto da compromettere anche le più semplici attività quotidiane del soggetto, portandolo ad una condizione sempre più difficile e disagiata.
Sappiamo infatti che, con il passare degli anni, l’organismo subisce importanti cambiamenti, che possono essere influenzati sia dal fattore genetico che dallo stile di vita condotto dall’individuo, il quale comincia visibilmente ad invecchiare. Molto meno visibile, almeno inizialmente, è l’invecchiamento delle strutture cerebrali, che compromette la connessione tra una cellula e l’altra, causando vari disturbi.
Posto ciò, la demenza senile non è una conseguenza precostituita dell’invecchiamento, poichè non sempre si manifesta, ma può nascere da disturbi biologici quali Alzheimer o altre malattie del cervello ma anche, purtroppo, dalla scarsa attività che quella fase della vita prevede. Gli anziani, infatti, vedono notevolmente diminuire i loro impegni e le loro responsabilità, e questa inattività porta ad un indebolimento generale che si ripercuote anche sulla mente.
Cosa fare per combatterla?
Più che combatterla, la demenza senile andrebbe prevenuta con una dieta equilibrata, con una buona attività sociale e con piccoli e giornalieri sforzi mentali: sono tanti piccoli gesti di attenzione per la freschezza della propria mente che, a lungo andare, produrranno effetti notevolissimi. Basti pensare a quanti ottantenni, novantenni e centenari conservino un cervello brillante, efficiente, che consente loro un’autonomia ed un’indipendenza che, a quell’età, non può che essere invidiabile.
E’ la prova che, invecchiando, non tutto viene perduto, se si ha l’impegno di preservarlo bene.

Alzheimer, prevenirlo con l’alimentazione

La nostra salute cerebrale dipende da molti fattori ed è particolarmente influenzata dall’alimentazione che, in realtà, ha un ruolo fondamentale sulla nostra salute in generale.
Nello specifico, per prevenire patologie quali l’Alzheimer è utile prediligere cibi che contrastino le alterazioni del metabolismo del rame, direttamente collegate all’insorgere del morbo. Ad approfondire questo tema sono stati i medici e i ricercatori incontratici per il congresso internazionale “Approccio convenzionale alla malattia di Alzheimer: dalla ricerca alla cura”, evento promosso dall’Istituto di Neurologia del policlinico Gemelli di Roma e dell’ospedale Fatebenefratelli e durante il quale è stato chiarito che il rame non-ceruloplasminico (quindi tossico) nasce da un alterato metabolismo del rame per cui il nostro organismo non è in grado di eliminarlo, e rappresenta un fattore di rischio modificabile per l’Alzheimer: da uno studio effettuato da entrambi gli istituti, infatti, si è rilevato che i soggetti con livelli elevati di rame “tossico” si presentano più predisposti a sviluppare la malattia.
A contribuire a tale studio è stato lo chef pluristellato Heinz Beck, che ha presentato una ricetta a base di pesce azzurro marinata all’aceto balsamico bianco con neve i melograno. Oltre ad possedere originali qualità organolettiche e nutrizionali, il piatto ha un elevato contenuto di acidi grassi omega 3, di vitamine tra cui B1, B6 e B12 e, soprattutto, è a basso contenuto di rame.
Per quanto concerne la dieta quodiana, invece, gli esperti hanno consigliato un largo consumo di verdure e frutta fresca e una buona dose di vitamina E e B12, mentre sono da evitare i grassi saturi, come quelli contenuti nelle carni rosse.
Tali accorgimenti, conciliati con una buona dose di sport settimanale, possono portare a dei notevoli risultati e, anche se non si è ancora giunti ad una cura effettiva, si può effettivamente fare la propria parte nel prevenire un morbo che, attualmente, rappresenta una delle preoccupazioni più grandi della terza età.

Come prevenire l’Alzheimer: ce lo spiegano i contadini!

Si è osservato, negli ultimi tempi, un fenomeno piuttosto curioso che riguarda gli agricoltori francesi: pare infatti che, negli ultimi
vent’anni, i casi di Alzheimer tra questa categoria, considerata generalmente a rischio, siano diminuiti di un sostanziale 38%. Tale
scoperta ha molto incuriosito i ricercatori, che hanno ben presto fornito una plausibile spiegazione che sembra riguardare l’innalzamento
degli standard di vita dei contadini. Non stiamo parlando soltanto di un incremento del livello di istruzione, ma anche di un
mantenimento degli hobbies e delle attività di tempo libero a seguito del pensionamento, che noi sappiamo essere un’efficace prevenzione
nel caso di malattie neurodegenerative.
Un miglioramento si è verificato anche nella gestione dei fattori di rischio sanitario, con un forte calo del numero di fumatori.
Tutti questi fattori, messi insieme, hanno portato questa categoria da una posizione di rischio ad un migliore stato di salute.
Il professor Jean-François Dartiques, neurologo specializzato di salute pubblica e responsabile dell’indagine, ha valutato ogni anno
circa mille contadini pensionati, giungendo alla conclusione che le tendenze osservate nelle popolazioni rurali hanno efficacemente
allontanato i disturbi legati a morbo d’Alzheimer e demenza senile, dimostrando quindi che la prevenzione negli anziani funziona.

Alzheimer, i primi sintomi

L’Alzheimer è conosciuto come un processo degenerativo che porta alla distruzione progressiva delle cellule cerebrali, con relativi disturbi e sintomi che si fanno più
accentuati man mano che la malattia avanza, fino ad interferire in maniera importante nelle più comuni attività quotidiane.
Nonostante le differenze che possono intercorrere tra diversi soggetti, il sintomo più precoce ed evidente è la perdita della memoria: inizialmente lieve, poi sempre
più importante ed estesa, cancella gradualmente i ricordi del malato, portandolo a non riconoscere più nulla di ciò che gli era familiare.
La perdita della memoria, infatti, è l’espressione più immediata della perdita di materia grigia nel cervello e in particolare di aree cruciali per la memoria, come
l’ippocampo.
A questo sintomi si accompagnano anche altre manifestazioni del morbo, tra cui disturbi del linguaggio, impoverimento verbale, difficoltà nell’espressione dei propri
pensieri, perdita di autonomia, spesso persino disorientamento spaziale e/o temporale.
Altro allarme molto importante di cui tenere conto è la possibile alterazione della personalità: l’anziano si mostra meno interessato a ciò che prima trovava
appassionante, come il proprio lavoro o gli hobby di cui si occupava, ma tende piuttosto ad essere ripetitivo e ridotto nelle capacità di giudizio.
L’insieme di questi fattori rende l’individuo sospettoso nei confronti delle persone che lo circondano, spesso accusate di nascondere oggetti che il malato non sa
trovare o giudicate colpevoli, ingiustificatamente, di mancate attenzioni o di maltrattamenti.
Nonostante i sintomi dell’Alzheimer risultino evidenti ad un occhio esperto, oggi per le famiglie è ancora difficile riuscire a distinguere con chiarezza i segnali
d’allarme, spesso attribuiti all’invecchiamento, allo stress ed alla depressione, e soltanto a distanza di uno o due anni dall’esordio della malattia ci si rivolge a
degli specialisti.

Alzheimer e diabete, scoperto un legame

La ricerca condotta da un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis, nell’ambito dello studio scientifico per la cura
dell’Alzheimer, ha portato alla luce un legame effettivo tra la malattia degenerativa ed il diabete.

I risultati evidenziano che il diabete, così come altri disturbi che rendono difficile controllare i livelli di zucchero nel sangue, possono contribuire a danneggiare
le funzioni cognitive del cervello, andando ad aggravare ulteriormente le malattie neurologiche come ad esempio il morbo di Alzheimer, dunque è importante comprendere
appieno il legame che si istituisce tra i due disturbi per ricavarne futuri obiettivi e trattamenti volti a ridurne gli effetti.

Quando si è affetti da diabete, spesso si fa uso di insulina o di altri farmaci allo scopo di mantenere equilibrato e sotto controllo il livello di zucchero nel sangue. L’esperimento, quindi, si è svolto iniettando del glucosio nel sangue di topi allevati, sviluppando in questo modo una condizione simile a quella del morbo: i topi giovani, senza placche amiloidi nel cervello, hanno manifestato un aumento del livello di glucosio nel sangue di circa il 20%; nel caso dei topi anziani, invece, che avevano già sviluppato placche celebrali, l’aumento è stato di ben il 40%.

La ricerca, già pubblicata sulla rivista “The Journal of Clinical Investigation”, apre nuove strade di esplorazione che ci portano a conoscere in maniera sempre più particolare il morbo di Alzheimer, offrendo sempre nuovi bersagli terapeutici che fanno ben sperare in un futuro trattamento in grado di contrastare efficacemente questa malattia neurologica devastante.

Prevedere lo sviluppo dell’Alzheimer con la Ferritina

Da anni la ricerca ha veicolato i propri sforzi nel tentativo di scoprire un metodo che permettesse di prevedere lo sviluppo dell’Alzheimer, morbo che ad oggi non si è
ancora in grado di affrontare con efficacia. Si cerca quindi di puntare molto sulla prevenzione, ed un recente studio da parte dell’Università di Melbourne ha rilevato
che, attraverso il monitoraggio dei livelli di ferritina (proteina che consente l’immagazzinamento del ferro), è forse possibile prevedere l’insorgenza della malattia
di Alzheimer.
In base alle ricerche effettuate, infatti, i soggetti con un grado di demenza lieve ed elevati livelli di ferritina, sviluppano con maggiore probabilità la malattia di
Alzheimer. Questo risultato spiega anche il fatto che i portatori di una variante dell’apolipoproteina E, una molecola che trasporta il colesterolo nel sangue, siano a
maggior rischio di sviluppare il morbo, in quanto gli stessi livelli di ferritina sono strettamente collegati ai livelli di apolipoproteina E.
La ricerca, pubblicata sulla rivista “Nature Communications”, si basa su studi precedenti, che avevano osservato un livello di ferro elevato nel cervello dei pazienti
affetti da malattia di Alzheimer, anche se prima d’ora nessun legame tra questo parametro e le condizioni cliniche del paziente era stato accertato.
Grazie al lavoro di Scott Ayton e collaboratori, però, tale legame è stato confermato e, anzi, risulta talmente stretta la correlazione tra morbo e livelli di
ferritina, che tale parametro è stato sufficiente da solo a prevedere, nel pieno degli esperimenti, quali pazienti con demenza di grado lieve avrebbero sviluppato in
seguito l’Alzheimer.
L’ipotesi messa in campo è ancora da sviluppare, tuttavia si tratta di risultati che potrebbero rivelarsi davvero validi e quindi fornire vere e proprie soluzioni
terapeutiche contro il morbo più spaventoso del secolo.

Demenza senile, la prevenzione non basta

Recentemente si è tenuto a Roma il secondo incontro regolatorio internazionale del programma “Dementia Integrated Development”, iniziativa promossa e guidata dal
Dipartimento della Salute britannico che ha visto la partecipazione di esperti del settore da Italia, Giappone, Stati Uniti, Canada, Danimarca, Svizzera e Germania e dell’Agenzia
Europea dei Medicinali. L’incontro è stato incentrato sulle previsioni allarmanti secondo cui i casi di demenza, Alzheimer compreso, supereranno nel 2030 i 75 milioni, per aumentare
ulteriormente nel 2050 raggiungendo la spaventosa cifra di 135 milioni.
Si tratta di un allarme che coinvolge non soltanto l’aspetto sanitario, ma anche quello economico: l’incremento delle demenze inciderà anche sugli oneri globali, impennando i costi
sociali.
Secondo gli esperti, la situazione non può essere arginata con il solo aiuto della prevenzione, ma è necessario affidarsi anche alla scienza medica e regolatoria. E’ fondamentale che
scaturiscano nuovi approcci sostenibili per far fronte a queste preoccupanti previsioni. Come ha infatti sottolineato Sergio Pecorelli, presidente dell’Aifa (Agenzia italiana del
Farmaco), la prevalenza delle malattie degenerative fra le persone anziane è aumentata in maniera drammatica, non solo a causa dell’invecchiamento ma anche per effetto delle
nuove situazioni socio-demografiche cui gli anziani sono esposti. Il giusto approccio a questa situazione, quindi, è rappresentato da una maggiore attenzione alla scienza medica e
regolatoria, accompagnata all’impegno costante e mirato alla promozione di efficaci pratiche di prevenzione.
Non resta che porre piena fiducia in scienziati e regolatori: il loro successo costituirà una vittoria importantissima contro le malattie degenerative, anche per l’Italia che, ad oggi,
conta ben 600 mila casi di individui alle prese con il morbo d’Alzheimer.

ALZHEIMER, MAGGIOR RISCHIO PER LE DONNE

Le donne sono soggette ad un rischio quasi doppio di contrarre l’Alzheimer: sono queste le conclusioni di una review pubblicata sull’Italian Journal of Gender-Specific Medicine, da parte del Centro Regionale per lo studio e la cura dell’Invecchiamento Cerebrale, dal Dipartimento di Medicina dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova.

Lo studio è alla base di un dato di fatto ormai accertato, e cioè che le differenze di sesso e ddi genere, intese come effetti culturali e sociali, possono influenzare lo sviluppo e la biologia del sistema nervoso centrale nel corso di tutta l’esistenza dell’individuo, e quest vale anche per quei processi patologici che portano alla demenza, quindi all’Alzheimer.

Oltre alla maggiore mortalità maschile in età avanzata, le cause per cui le donne appaiono più esposte alle malattie neurodegenerative sono diverse.
Innanzitutto, c’è il fattore menopausa, che incrementa il rischio di contrarre demenza: in questo caso, una terapia ormonale sostitutiva può avere un impatto molto positivo allo scopo di ridurre le probabilità di ammalarsi.

Seguono i fattori di rischio cardiovascolari, diabete di tipo 2 e ipertensione, che mostrano un preoccupante incremento di prevalenza tra le donne a livello globale.
Al di là dei fattori biologici, ad aumentare le probabilità vi sono anche fattori di carattere sociale, come una bassa scolarizzazione, a contribuire allo squilibrio tra i sessi.
Il 7 ottobre 2016, Carlo Gabelli, uno dei responsabili della ricerca, ha presentato una relazione al Terzo Simposio altoatesino di Medicina di genere, dal titolo “Le malattie neurodegenerative nel confronto di genere”.